Barlaam, alla ricerca dell'Uomo
1. Il Dogma e l'Uomo
Nato nel dogma greco, come egli stesso ci informa in maniera
inequi¬vocabile, il monaco Barlaam doveva aver superato i trent'anni di
età quan¬do, per ragioni a noi ancora ignote, egli abbandona la natia
Calabria per re¬carsi in Grecia. In base ai dati finora conosciuti, è in
Grecia che Barlaam inizia la sua attività letteraria. Passando in
rassegna le sue opere di contenu¬to teologico, constatiamo che ad una
iniziale ferma aderenza, da parte del loro autore, al dogma greco si
oppone diametralmente opposto contenuto dottrinario degli scritti
risalenti ai suoi ultimi anni di vita, nei quali Bar¬laam, ormai
cattolico e vescovo di Gerace, si vede impegnato a convincere i Greci
della veridicità dei dogmi occidentali. Tra il primo momento, che ve¬de
il nostro monaco saldamente ancorato al dogma greco, e l'ultimo, che lo
vede strenuo difensore dei dogmi latini, si frappone un lungo periodo di
studio e di meditazione durante il quale, mentre da una parte Barlaam si
impegna a confutare la scolastica occidentale ed il razionalismo tomista
(in¬staurando così a Bisanzio un movimento «antitomista»), dall'altra,
invece, egli combatte alcune discutibili espressioni e posizioni
teologiche di Grego¬rio Palamas (ponendosi così a capo del «movimento
antipalamita»). Parlare quindi dell'opera teologica di Barlaam non
significa semplicemente pren¬dere in esame la sua considerevole e
impegnativa produzione letteraria (af¬frontando per giunta la delicata
problematica concernente i probabili moti¬vi che lo indussero ad
abbracciare il cattolicesimo); ma significa anche esa¬minare varie altre
questioni di più ampio respiro, quali ad esempio la collocazione di
questo personaggio nel panorama dell'antiumanesimo bizantino, il suo
contributo al primo Umanesimo italiano, la sua presa di posizione nei
confronti dell'antitomismo bizantino e, infine, i contenuti dottrinari
del suo antipalamismo e antiesicasmo in generale: tematiche e questioni
tutte, que¬ste, indubbiamente di grande portata, che non si possono
certo esaurire in un articolo. Perciò mi limiterò qui a riproporre molto
brevemente alcune semplici considerazioni, in gran parte già da me
esposte più esaurientemen-te in trattazioni a parte.
2. Le opere
Innanzitutto occorre formulare alcune puntualizzazioni riguardo alle
opere teologiche di Barlaam, le quali si possono suddividere in tre
catego¬rie: a) le opere Contra latinos (ove Barlaam risulta saldamente
ancorato al dogma greco); b) le opere Contra graecos (nelle quali
Barlaam si mostra convinto difensore dei dogmi occidentali); e infine c)
le opere che chiame¬remo Pro graecis (ove Barlaam, pur difendendo
sostanzialmente il dogma greco, tuttavia egli risulta nel contempo in
qualche modo accondiscendente alla teologia latina).
a) Le opere Contra Latinos sono costituite da una trentina di opuscoli,
redatti da Barlaam nel corso dell'incontro unionistico di Costantinopoli
(del 1334F~351)2, e aventi come argomento la processione dello Spirito
ed il primato del papa. Un'elencazione di questi opuscoli si può trovare
nella Pa¬trologia graeca del Migne3. Da un'analisi personale, ho potuto
stabilire che gli opuscoli in questione rappresentano tre tappe
successive di elaborazio¬ne di una medesima Pragmateia (Trattato B
[Trattato A fSyntagma; cui biso¬gna aggiungere un Dialogo e una
Confutazione di un relativo documento papalei), scritta da Barlaam
appositamente in quell'occasione. Alla stessa categoria e allo stesso
periodo cronologico appartengono anche il trattato epistolare De
priinatu papae, indirizzato indubbiamente al vescovo domeni¬cano
Francesco da Camerino4, nonché alcuni altri opuscoli antilatini di
Barlaam fino ad oggi sconosciuti che, nel corso delle mie ricerche sulle
ope¬re di Barlaam, ho potuto individuare e, in parte, pubblicare5.
b) Decisamente Contra graecos sono invece i trattati epistolari, che,
dopo aver fatto professione di fede cattolica (quindi dal 1341 in poi),
Bar-laam scrisse ai suoi amici e allievi rimasti in Grecia: pervenutici
nella loro redazione latina, questi sono comodamente accessibili nella
Patrologia grae¬ca del Migne6.
c) Una Preghiera (E~X~') di Barlaam, che leggiamo tra l'altro nei due
codd. vaticani da lui stesso curati, segna, a mio avviso, il punto di
svolta che porterà Barlaam dall'ortodossia al cattolicesimo7. Alla
stessa categoria delle opere Pro graecis si possono includere anche le
sue otto Epistole greche8, nelle quali il monaco italo-greco ripropone,
anche se con poca convinzione, alcune tematiche della teologia
occidentale. Seguono le due coppie di Ora¬zioni, una greca e l'altra
latina, che Barlaam scrisse in occasione del tentati-vo unionistico del
1339 ~: anche qui, infatti, mentre Barlaam risulta difende¬re
sostanzialmente il dogma greco, nel contempo egli si mostra molto meno
intransigente nei confronti della teologia occidentale10.
3.Barlaam e la teologia greca
Benché per la sua formia i~entis rigidamente schematica,
scrupolosa¬mente metodica e prevalentemente razionale Barlaam si mostra
nelle sue opere in generale poco bizantino, nella sua produzione
antilatina, invece, egli si mostra non meno bizantino dei bizantini
stessi per il piacere di get¬tarsi con impeto e passione in controversie
teologiche impetuose e passio¬nali, per il suo atteggiamento di netta
intransigenza nei confronti della Chiesa latina e per la fierezza di
confessare e difendere la sua «ortodossia».
L'accusa di latinofronia, che per lungo tempo ha accompagnato la vita e
l'opera di Barlaam, secondo la quale egli, fingendo nei suoi opuscoli
Con-tra latinos di difendere il dogma greco, in realtà avrebbe cercato
di suffra¬gare subdolamente il Filioque, nessuno studioso oggi può
onestamente so¬stenere: è ormai indiscutibilmente accertato, infatti,
che essa si basa esclusi¬vamente sui pregiudizi di Gregorio Palamas e
dei monaci esicasti piuttosto che su motivazioni reali11. D'altra parte,
la semplice lettura degli opuscoli Contra latinos e, soprattutto, la
grande diffusione che i medesimi hanno avuto nel mondo bizantino nonché
l'influsso che successivamente esercita¬rono su autorevoli esponenti
della teologica greca (Nilo Cabasilas, Bessa¬rione, Marco Eugenico -
giusto per fare qualche nome) 12, costituisce chiara dimostrazione del
contenuto «ortodosso» degli stessi. Percorrendo questi scritti emerge
incontestabile il chiaro intento di Barlaam di difendere il dogma greco
in base all'insegnamento dei Padri. Ad una rapida rassegna delle
testimonianze patristiche utilizzate dal monaco italo-greco a tale
scopo, si deduce che gli autori più frequentemente da lui citati sono lo
Pseudo Dionigi Areopagita, il quale ovviamente viene da Bar¬laam
identificato con il primo vescovo di Atene, e Gregorio Nazianzeno. Del
primo, oltre che alcune citazioni tratte dalle due GerarcAie, angelica
ed ecclesiastica, riscontriamo un gran numero di riferimenti al De
divinis no¬minibus; del Nazianzeno, invece, si riscontrano una
cinquantina di citazio¬ni, tratte da varie Omelie, soprattutto dalle
cinque «teologiche». Frequenti sono poi i rinvii a Gregorio di Nissa,
Cirillo di Alessandria e Giovanni Da¬masceno (De fide orthodoxa). Non
mancano infine riferimenti, impliciti o espliciti, ad Anastasio Sinaita,
Apollinare di Laodicea, Ps.-Atanasio di Ales¬sandria, Basilio di
Cesarea, Lusebio di Cesarea, Giovanni Crisostomo Le Ps. Giovanni
Crisostolo = Severiano di Gabala]), Gregorio Taumaturgo, Mas¬simo il
Confessore e Teodoreto di Ciro. Globalmente si può dire che la
documentazione patristica di Barlaam è assai povera: all'infuori del De
divini& nominibu& di «Dionigi» e delle cin¬que Omelie teologiche del
Nazianzeno, non sembra che Barlaam avesse una conoscenza diretta dei
testi da lui citati: piuttosto, si direbbe che, al pa¬ri di molti altri
teologi greci suoi contemporanei, egli lavorasse in base a delle
«schede». Si aggiunga che molte delle citazioni patristiche da lui
uti¬lizzate necessitano di verifica sia per quanto concerne il loro
autore che l'o¬pera da cui esse sono tratte. Infine, nella gran parte
dei casi, l'esegesi bar¬1 aamiana dei testi patristici è piuttosto
superficiale e le sue argomentazioni ad honi'inem risultano carenti di
profondità teologica. Accanto alle testimonianze della patristica
ufficiale, negli opuscoli barlaamiani Contra latinos si riscontrano
anche numerosi rinvii ad alcuni autori greci, che hanno scritto opere
polemiche contro i dogmi latini, se¬gnatamente contro il Filioque, in
data posteriore allo scisma. Di questi ulti¬mi autori, Barlaam non
menziona mai espressamente il nome: ma il loro pensiero viene da lui
totalmente condiviso e, molto spesso, riportato alla lettera. Un posto
eminente fra essi occupa il patriarca Fozio, il quale è pre¬sente negli
opuscoli barlaamiani con un centinaio di citazioni tratte soprat¬tutto
dalla Mystagogia, ma anche dalle Epistole IX, XIII e XXIV, nonché dal
Libellus contra veteris Romae asseclas. Di Fozio, Barlaam condivide la
terminologia e l'esegesi di alcuni detti evangelici oltre che,
ovviamente, i principi trinitari propriamente «foziani». Non mancano
inoltre rinvii, im¬pliciti o espliciti, a Niceta Bizantino (sec. X),
Michele Cerullario (t 1059), Eustazio di Nicea (t post 1117 ca.), Nicola
di Metone (t 1165 ca.), Nicefo¬ro Vlemmida (1197/8-1272), e Giovanni
Veccos (~ 1297). Ma anche quell'altra accusa, risalente anch'essa al
santo Esicasta, se¬condo cui il monaco Calabrese avrebbe preferito la
sophia dei filosofi paga¬ni piuttosto che la «stoltezza» dei Padri, ad
un esame più sereno e ap¬profondito risulta anch'essa parimenti
infondata. Che nelle sue opere an¬che teologiche Barlaam menzioni i
filosofi pagani (Aristotole e Platone in¬nanzi tutto), è incontestabile;
ma l'accostamento di Barlaam alla filosofia greca ha una circostanziata
funzione ed una ben precisa giustificazione: contrariamente a molti
teologi suoi contemporanei, specialmente esicasti, Barlaam aveva la
consapevolezza che, cacciata solennemente dalla porta, la ~~o)O~v ~ era
simpaticamente riuscita a rientrare dalla finestra e, quin¬di, egli
tentava nelle sue opere di definire l'equilibrio esistente tra il
pensie¬ro dei filosofi antichi e quello dei filosofi nostrani (~wv ~~e'
~ È in base a questa sua consapevolezza che egli potè dire, parlando
della beatitu¬dine nella sua Ethica secundum 'Stoicos, che, nei
confronti di essa, Est inter nos (christianos) Ct zpsos (platonicos) non
in re controversia sed in nomime tantuin. Lungi quindi dal considerarlo
catalogabile tra gli esponenti del «secondo umanesimo» bizantino, che a
partire dal sec. XI (con Michele Psello ed il suo discepolo Giovanni
Italo) e fino al sec. XV (con Giorgio Gemisto Pletone, il quale ne
costituisce il punto terminale), cercheranno di imporre un ritorno al
razionalismo greco ed alla speculazione filosofica a discapito della
fede e della contemplazione mistica, Barlaam va piuttosto inquadrato in
quell'altro filone del pensiero bizantino che, a partire da Cle¬mente
Alessandrino (sec. III), cercherà di trovare, non senza rischi e
diffi¬coltà, un armonioso accordo tra ragione e fede, tra filosofia
pagana e teolo¬gia cristiana, considerando la prima strumento
indispensabile della secon¬da, e riconoscendo ai rappresentanti di
questa una sorta di rivelazione divi¬na: alfine di formare una filosofia
cristiana. Infine, qualche considerazione a parte merita la posizione di
Barlaam nei confronti della disputa filosofico-teologica con Gregorio
Palamas, che sfociò nella cosiddetta «polemica esicasta». Affrontando la
questione teolo¬gica concernente l'operazione (~vépy~~, attività) di
Dio, in alcuni suoi scritti Barlaam sostiene rettamente che, nelle tre
persone della trinità, vi èuna sola potenza (E' VE' pyE~). In un
opuscolo antilatino inedito, trattando più specificatamente
dell'operazione dello Spirito, Barlaam distingue netta¬mente l'ousia
dello Spirito dalle sue energie o operazioni, che egli chiama «doni»
dello Spirito. Di ousia e di energie in Dio Barlaam parla anche nella
sua Aporia V a Giorgio Lapita, ove però l'energia di Dio viene
considerata limitatamente come moto e attività creativa14. La questione
teologica con¬cernente l'ousia e le operazioni di Dio viene riproposta
da Barlaam in ma¬niera più esauriente nella sua Epistola I a Palamas
nella quale, incalzato dal¬l'Esicasta, il monaco Calabrese formula il
seguente sillogismo: «Il Padre e il Figlio possiedono la stessa energia
(E' VépyE~); coloro che possiedono la stessa energia possiedono anche la
stessa potenza ~ coloro che possiedono la stessa potenza possiedono
anche la stessa natura (~'~~): Fr¬go, il Padre e il Figlio sono della
stessa sostanza (ou'~~) e natura (~~~~)»15. Parimenti quindi a Palamas,
anche Barlaam parla di ousia, di dynameis e di energie in Dio. Pur
tuttavia, questi due autori si trovano in posizioni diametralmente
opposte quando si tratta di specificare il rappor¬to esistente tra ousia
e operazione in Dio. Per l'Atonita, le energie di Dio si distinguono
realmente dall'ousia di Dio, in quanto costituiscono ciò che sta
«attorno» all'ousia (~é~ ~ ~'V ~'~iav di Dio); per Barlaam, invece (e in
ciò egli si accosta alla teologia occidentale), le operazioni di Dio
coincidono con la stessa ousia di Dio, in quanto Dio è assolutamente
semplicissimo; e, quindi, pur ritenendo lecito formulare proposizioni
relativamente a ciò che è dell>ousia (~o:' ~ ~'i'v ob~~av) di Dio,
tuttavia non si può assolutamente ammettere una reale distinzione tra
ozisia ed energie. Queste diverse posi¬zioni, già in partenza tra loro
inconciliabili, non potevano che condurre i due avversari ad una
polemica, a dir poco, vivace, specie dopo l'esplicita af¬fermazione
palamita secondo cui è possibile che i monaci esicasti vedano in questa
vita e con gli occhi corporei e materiali le energie di Dio stesso, che
sono increate, incorporee e immateriali. Ulteriori e, forse, più precise
notizie concernenti tra l'altro la tesi di Barlaam nei confronti della
sua posizione antipalamita avremmo potuto ri¬cavare dalla sua opera ~
Ma~~aX~vcov (Contro i Massal'ani), che però, dopo la condanna contro di
lui nel sinoldo di Costantinopoli del 1341, finì al rogo.
4. Barlaain e la teologia latina
Passando ad esaminare la questione concernente la conoscenza da parte di
Barlaam della teologia occidentale, occorre subito ribadire che la tesi
secondo cui il monaco Calabrese, prima di giungere a Bisanzio, avreb¬be
avuto in Occidente la possibilità di «conoscere, trattare, discutere e
criticare la tomistica e i nuovissimi orientamenti speculativi di Duns
Sco¬to»16, o di rimanere influenzato da nominalismo di William d'Ockam17
o, ancora, da Ruggero Bacone e Pietro Aureoli18, si basa
fondamentalmente su un equivoco: poiché nei suoi opuscoli Contra latinos,
che, come abbia¬mo detto, egli scrisse a Costantinopoli nel corso delle
discussioni unioni¬ste con i rappresentanti della Chiesa latina
(1334L-351), Barlaam menzio¬na espressamente le opere dell'Aquinate
confutandone alcune tesi; e poi¬ché l'opera dell'Aquinate è stata
conosciuta a Bisanzio attraverso le tradu¬zioni che ne diedero Demetrio
e Procoro Cidone nel 1354 (e quindi a vent'anni di distanza da quando
scrive Barlaam)19: ha fatto pensare che il monaco calabrese avesse letto
5. Tommaso in originale, in Italia, prima di giungere a Bisanzio. Da una
lettura però di questi opuscoli barlaamiani nel loro insieme ho potuto
constatare che i medesimi furono scritti da Barlaam in replica alle
argomentazioni, anche torniste, che i suoi interlocu¬tori latini avevano
precedentemente esposto al Nostro in trattazioni scrit¬te e verbali e,
quindi, la presenza di sillogismi tomistici negli opuscoli bar¬laamiani
come pure le generiche allusioni a Tommaso Aquinate che vi leg¬giamo non
sono di per sé sufficienti per farci concludere che Barlaam co¬noscesse
tali argomentazioni anche precedentemente alle suddette discus¬sioni.
Esaminando la portata e qualità delle confutazioni barlaamiane alle
argomentazioni torniste si è costretti ad ammettere che Barlaam, non
solo non doveva avere una conoscenza approfondita della teologia tomista
e scolastica in generale, ma che egli avesse una conoscenza assai
limitata della teologia occidentale tout-court, poiché, nei suoi scritti
teologici re¬datti durante la sua permanenza a Bisanzio, egli risulta
ignorare persino l'esistenza del Concilio Lugduense 11(1274), nel corso
del quale era stato ufficialmente definito il dogma della processione
dello Spirito ex Patre FI¬lioque tamquam ab uno2o.
Nel prospettare una profonda conoscenza da parte di Barlaam della
teologia occidentale, gli studiosi non hanno tenuto nella debita
considera¬zione quanto il monaco Calabrese, negli ultimi anni della sua
vita, dice di se stesso e della sua erudizione. Dopo aver abbandonato
definitivamente Bi¬sanzio e dopo aver fatto professione di fede
cattolica (1341), Barlaam, con una serie di epistole, esorta i suoi
allievi ed amici rimasti in Grecia ad ab¬bandonare l'ortodossia e
passare al cattolicesimo, sostenendo che le accuse di carattere
dottrinario che i Greci muovono contro i Latini sono infonda¬te. Così,
Barlaam informa i suoi amici che l'usanza esistente presso la Chie¬sa
latina di celebrare l'eucarestia con pane azimo risale ai primissimi
anni dell'era cristiana: Alexander enim Romanus Pontifex; qui sub
Adriano glo¬rioso martyrio vitam finivit, hostiam de azymo Ecclesiae
Romanae statuit21. Lo stesso dicasi anche per la formulazione del dogma
trinitario: Similiter, Spiritum Sanctum ex Patre Filioque tamquam ex uno
princzpio procedere, vi¬detur Ecclesia Romana tenere ante inchoatum
schisma pluribus quam quadrigentis annis22. Per avvalorare quanto appena
detto, Barlaam si richiama alla testimonianza di s. Agostino, 5.
Ambrogio e 5. Girolamo i quali, più di otto¬cento anni prima, avevano
sostenuto espressamente nei loro scritti la pro¬cessione dello Spirito
anche da Figlio, nonché di Gregorio papa, qui dicitur fukse sub
Justiniano, ante schisma pluribus quam trecentis annis23. Quanto poi
all'aggiunta del Filioque nel simbolo della fede, Barlaam, dopo aver
esposto le ragioni storiche che permisero la formulazione ditale dogma,
informa i suoi amici che la Chiesa di Roma aveva convocato ad hoc un
Con¬cilio generale «non ante Schisma, non in ejus principio, non paulo
post, sed niultis post hoc annis», al quale Concilio erano stati
invitati a partecipare anche i Padri greci: e fu in sede di Concilio che
il Filioque, non imnierite, fu aggiunto nel Simbolo niceno-
costantinopolitano24.
Tutte queste notizie giunsero ai destinatari come fulmini in ciel
sere¬no. Nelle loro risposte, essi chiedono a Barlaam ulteriori
informazioni al ri¬guardo, lo pregano d'inviare loro gli scritti di
Agostino, di Gerolamo, di Ambrogio, di Gregorio Magno, scri~ta - essi
dicono - quae nos non vidÈ mus. Riguardo al Concilio di Lione Il è
sintomatico quanto scrive a Bar¬laam un suo amico di Salonicco: Quasi
generale concilium ais esse factum de proposito (scii. de Filioque) quod
nondum usque nunc audivimus!. Prega quindi e con fervore Barlaam di
inviargli, e al più presto, gli Atti di quel Concilio23. A questo punto
è spontaneo chiedersi: come mai Barlaam, così aggior¬nato - secondo la
comune opinione - sulla teologia di s. Tommaso e sugli ultimissimi
sviluppi delle correnti filosofiche della scolastica occidentale (di
Duns Scoto o di Ockham e di chiunque altro), malgrado il suo lungo
perio¬do vissuto a Bisanzio, non aveva mai parlato ai suoi fedeli e
fidati allievi del¬le opere di s. Agostino, 5. Ambrogio, 5. Gerolamo e
Gregorio Magno (ope¬re anteriori a 5. Tommaso e su cui si fonda la
teologia tomista)? Come mai egli, che versò tanto inchiostro in disamine
teologiche, non menzionò mai il Concilio Lugduense, in cui un ruolo di
primissimo piano aveva avuto la figura stessa dell'Aquinate? E poi,
quali sarebbero stati i motivi che spinsero Barlaam ad accantonare tutta
quella erudizione, che generalmente gli viene attribuita, anche quando
si trovò nel 1339 alla Curia avignonese, ove egli, inviato speciale
dell'imperatore, prospettò, onde ottenere aiuti militari con¬tro
l'incombente pericolo ottomano, «soluzioni» teologiche che cozzavano
contro il comune buon senso e le più elementari regole della diplomazia?
Infine, come mai egli, nonostante la sua erudizione e dimestichezza con
i teologi occidentali (e quindi ben informato sulla posizione
dottrinaria uffi¬ciale del Filioque), osò sostenere, nel corso del
tentativo unionistico di Co¬stantinopoli del 1334(-35), che presso i
Latini non esisteva una dottrina ben precisa riguardo a questo dogma?
Piuttosto che dubitare della moralità dell'uomo e delle sue effettive
capacità intellettive, credo sia più verosimile ammettere che, durante
gli anni della sua formazione in Italia, Barlaam non poteva aver
acquisito tutte quelle conoscenze filosofiche e teologiche, che
generalmente gli vengono attribuite. Tenendo allora conto che, mentre
nei suoi scritti risalenti al primo pe¬riodo bizantino, Barlaam mostra
di avere una conoscenza molto limitata della teologia occidentale,
mentre in quegli altri, risalenti al periodo poste¬riore al suo
passaggio al cattolicesimo, egli risulta assai meglio informato a
riguardo, l'affermazione del card. G. Mercati, espressa più di mezzo
secolo fa, secondo cui rimane ancora da stabilire quanto la teologia
occidentale fosse conosciuta e seguita da Barlaam stesso prima del
134126, risulta ancor oggi la più attuale ed equilibrata.
5.La conversione di Barlaam
A questo punto è opportuno aprire una breve parentesi per formulare
alcune considerazione circa i motivi che indussero Barlaam a passare al
cat¬tolicesimo.
In uno dei suoi opuscoli antilatini, dopo aver sostenuto che la
proces¬sione ex solo Patre non costituisce una semplice ipotesi ma che
ogni persona devota è tenuta a credere fermamente che solo dalla Causa
Prima (scii. dal Padre) derivano il Figlio e lo Spirito, Barlaam formula
in conclusione la sua ben nota professio fidei: «Questa è la mia
devozione nei confronti della trinità, questa è la fede in cui fui
educato sin da fanciullo e che fino ad oggi ho professato. Mi auguro di
morire anche in essa e con essa presentarmi, dopo aver condotto una vita
virtuosa, all'imparziale e terribile tribunale di Dio»27.
A questa ferma e incondizionata aderenza al dogma greco si oppone in
qualche modo il contenuto della Preghiera (~'~') barlaamiana, già da noi
sopra menzionata, che, in base a vari elementi, si può cronologicamente
collocare nel periodo immediatamente successivo alle discussioni
unioniste del 1334(-35) e, quindi, si può considerare come conclusione
ultima della produzione antilatina di Barlaam. In questa sua Preghiera,
rivolgendosi al «preeterno Verbo di Dio», Barlaam si esprime nella
maniera seguente: «Se quanto ho scritto (scil. contro il Filioque) è
corretto e conforme con la ve¬rità e, parimenti a Te, il Tuo santissimo
Spirito trae l'esistenza solo dal Pa¬dre Tuo e non anche da Te,
concedimi in cambio il perdono dei peccati, rinsalda nella mia anima
questa fede e dammi la grazia di morire in essa; rendi docili gli
oppositori di essi e fa' che tutti, riguardo a questo dogma, condividano
il nostro pensiero. Se invece io sono tratto in errore - prose¬gue
Barlaam -, e la verità è che il Tuo onnipotente Spirito, così come è
det¬to Tuo, procede anche da Te (...), e che Tu ed il Tuo Padre siete
una sola causa ed un solo principio <dello Spirito>, allora, o Signore
benevolo, abbi pietà della mia ignoranza e fa' che prima di morire mi
liberi di questa falsa opinione. Quanto poi ai miei scritti, abbandonali
nel più completo oblio, affinché io non causi, nei confronti di nessuno,
una tanto grave empietà».
Dal contenuto di questa Preghiera si evince chiaramente che l'iniziale
incondizionata certezza della veridicità del dogma greco incomincia in
qual¬che modo a vacillare. E a partire da questa Preghiera, vale a dire
in seguito al¬l'incontro impegnativo e duraturo avuto da Barlaam con
autorevoli esponen¬ti della teologia ufficiale della Chiesa latina, che,
a mio avviso, inìzia la crisi interiore del nostro monaco, la quale,
lentamente ma inesorabilmente, lo por¬terà al cattolicesimo. Non mi
sembra quindi che la conversione di Barlaam si possa spiegare
esclusivamente in base alla sua vanità ed il suo orgoglio che, in
seguito all'umiliazione da lui subita nel sinodo costantinopolitano del
1~4 1, lo avrebbero indotto a passare in maniera «repentina» alla Chiesa
cattolica28. Orgoglioso ed effettivamente vanitoso, Barlaam si sarà pure
risentito della condanna inflittagli dal sinodo costantinopolitano; ma
non va dimenticato che in quel sinodo venivano confermate, sia pure in
maniera non del tutto esplicita, le teorie palamite che, a prescindere
dalla presa di posizione che og¬gi noi possiamo assumere nei loro
confronti e dalle considerazioni di caratte¬re più o meno «ecumenico»
che possiamo formularne, per Barlaam erano, a ragione o a torto, teorie
non «ortodosse». Né va trascurato quanto Barlaam, nell'invitare i suoi
amici ad abbracciare anch'essi il cattolicesimo, dice: «Qui (sci!. in
Occidente),tutta la gente è subordinata ad un solo principio, e cioè
alla Santa Romana Chiesa e al suo capo, che tutti onorano e rispettano.
Qui non si professa ciò che le armi e la violenza impongono, o la legge
umana o il diritto di successione o lo schiamazzo della plebe, ma ciò
che è stato stabilito dal Nostro Signore Gesù Cristo e confermato dai
Suoi ministri sparsi nel mondo>~9. L'allusione al triste susseguirsi
degli avvenimenti storici, gli inte¬ressi di Corte e alle
ingiustificabili basse passioni di molte personalità sue contemporanee,
che favorirono e accompagnarono la sua condanna, è in questo brano molto
chiara. Alla conversione quindi di Barlaam contribuiro¬no fattori e
avvenimenti molto ampi e complessi: le informazioni nei confron¬ti della
teologia ufficiale della Chiesa cattolica, da lui avute nel corso delle
di¬scussioni unioniste del 1334 da parte degli interlocutori latini; la
discutibile terminologia e, inizialmente, dottrina teologica di Gregorio
Palamas; la con¬statazione da parte di Barlaam della mancanza di
magistero presso la Chiesa greca e, parallelamente, l'immagine da lui
avuta della Corte pontificia di Avi¬gnone, che egli poté conoscere nel
corso della sua missione diplomatica del 1339. Non va comunque
dimenticato che la conversione di Barlaam al catto¬licesimo risulta il
primo anello di una piuttosto lunga catena di bizantini (si ricordino
qui i due fratelli Cidone, Demetrio e Procoro, i due Chrysobergis,
Manuele Caleca - e tanti altri personaggi più o meno noti), che, sempre
in quello stesso periodo cronologico e sempre per via del loro
disaccordo con la teologia palamita, sono passati alla Chiesa cattolica.
6.Barlaam e la sua formazione calabrese
Riprendendo ora il nostro discorso sull'opera teologica di Barlaam,
dobbiamo dire che la constatazione secondo cui egli non aveva tutta
quella erudizione nel campo della teologia scolastica e delle correnti
filosofiche d'Occidente, che generalmente gli vengono attribuite, spiana
la strada per la definizione del tipo e grado della cultura che,
verosimilmente, egli poté acquisire durante gli anni della sua
formazione in Italia. Intanto va subito detto che in questi anni (1290
ca. - 1325 ca.)30, come pure del primissimo periodo della sua permanenza
in Grecia (1325 ca. - 1332), non ci è perve¬nuto nemmeno una riga
scritta da Barlaam; ed è poco probabile che egli avesse scritto
qualcosa. In un suo studio interessante ed equilibrato, E. D'Agostino
poté affermare che, per la sua formazione, Barlaam si sarebbe
indirizzato al monastero di 5. Elia di Galatro, e che il periodo 13 iSca
-1328 si deve considerare «cruciale nella vita di Barlaam», in quanto
trattasi del «periodo della maturazione definitiva della personalità e
dell'afferma¬zione culturale» del Nostro: «dove lo passò?» - si chiede
D'Agostino -«dove fu allievo e probabilmente anche maestro?»31. Ma, come
abbiamo detto, dall'esame delle opere teologiche di Barlaam non solo
risulta impos¬sibile stabilire ciò che effettivamente appartiene al
bagaglio culturale da lui acquisito in Italia; ma, per via di alcuni
elementi insiti in questi stessi scritti come pure per le vicende che ne
determinarono la redazione, si è indotti a sostenere che quanto vi
leggiamo, ivi comprese le nozioni di teologia tomi¬sta, è il risultato
della cultura da lui acquisita negli anni trascorsi a Bisanzio.
Se però da una parte sembra ragionevole sostenere, in base ai dati
fi¬nora acquisiti, che della filosofia e teologia ufficiali della Chiesa
latina Bar¬laam conoscesse ben poco, d'altra parte è parimenti logico
ammettere che egli, nel corso dei suoi primi trent'anni circa di vita
vissuti in Italia, avrà avuto modo di avere a che fare con i libri e,
quindi, avrà potuto acquisire in Italia una certa «cultura», sia pure di
carattere strettamente teologico. In base alle mie ricerche, posso
ascrivere al periodo della sua formazione in Italia molto poco: una
discreta conoscenza del latino (che gli permise di sti¬lare le due
Orazioni avignonesi e, ancor prima, di prendere visione a Bisan¬zio
delle opere dell'Aquinate che, verosimilmente, gli inviati papali, con
cui egli discuteva, gli hanno presentato nel testo originale latino); la
conoscen¬za del De trinitate di sant'Agostino (che pure doveva aver
conosciuto in originale, verosimilmente in Italia, dal momento che quei
pochi termini da lui menzionati nelle sue opere non solo non trovano
corrispondenza con la terminologia che troviamo nella traduzione fatta
precedentemente da Mas¬simo Planude (t 1281?), ma a mio avviso risultato
anche migliori)32; non¬ché una sola argomentazione razional-matematica a
favore del Filioque che, benché attribuita da Barlaam «ai Latini», essa
risulta di ignota derivazione, di discutibile contenuto teologico e dal
procedimento logico tutt'altro che impeccabile33: molto poco per
sostenere che, prima di passare in Grecia Barlaam doveva aver
frequentato scuole filosofico-teologiche esistenti in Gerace, in
Calabria o, ancora, a nord della Calabria, ma più che sufficienti per
stimolarci ad affrontare un esame più approfondito e dettagliato, atto a
definire il tipo di «teologia», greca e latina, che Barlaam ha potuto
comun¬que acquisire in Italia, e il grado di conoscenza da lui
raggiunto. di Paola Seminara
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